Isabella Santacroce torna a scuotere le coscienze

di Lucia Lombardi, foto Obiettivo Limone/Eloise Nania
La Moderna Commedia Umana Della Scrittrice Riccionese
“Amo profondamente Riccione, è una parte del mio lessico interiore, un punto cardinale della mia esistenza. Ho vissuto altrove, ma è sempre qui che ritorno. Qui è cominciato il mio dialogo con la scrittura, ed è qui che sono le mie radici”.

È nata a Riccione, città spesso associata alla sua dimensione turistica, ma per Isabella Santacroce è molto più di questo.

Nel 1995, con Fluo. Storie di giovani a Riccione, Isabella Santacroce esordisce nel panorama letterario italiano. È il primo capitolo della cosiddetta ‘trilogia dell’incoscienza’ – seguito da Destroy e Luminal – oggi ripubblicato nel trentennale della sua uscita. Un romanzo diventato cult, capace di restituire la Riccione degli anni Novanta con un linguaggio acceso e febbrile: notti elettriche, discoteche, eccessi, vertigini.

“Esistono luoghi che si impongono per l’intensità con cui li si è vissuti,” afferma. “Riccione, in quegli anni, era una sorta di paese delle meraviglie e dei balocchi. Accoglieva il fermento giovanile con benevolenza, offrendo volti, occasioni, ricordi indelebili. In quell’insieme tumultuoso di musica, desideri, velocità e voglia di vivere, si creava la materia incandescente della giovinezza. Per questo ho ambientato il mio primo libro in un’estate riccionese e l’ho intitolato Fluo.”

Di quella Riccione estrema e sensuale, nella memoria e nella scrittura di Isabella Santacroce non resta la nostalgia, ma qualcosa di più profondo. “La consapevolezza di aver attraversato una stagione in cui la vita traboccava da sé e di averla trattenuta in forma di parola. Riccione non è mai stata solo un fondale turistico, è stata il crocevia in cui giovinezza e incoscienza si sono incontrate, dando origine all’essenza dei miei primi libri.”

Per il TTV Festival 2024, ha partecipato al progetto Anemoia. Immagini di una riviera senza tempo, rassegna fotografica con scatti dagli anni Ottanta in poi di Ghirri, Nori e Vitali, allestita nella Perla Verde. “La mostra è stata curata da Massimo Giorgetti.

Io ho prestato la mia voce registrando brani tratti da Fluo, creando un sottofondo letterario, una presenza incorporea che accompagnava le immagini. Mi ha colpito come foto e testi, pur nati in momenti diversi, si siano rispecchiati. C’è sempre una sottile armonia tra le arti quando si accostano con rispetto.”

Dopo anni di silenzio, Isabella Santacroce è tornata alla scrittura con Magnificat Amour (Il Saggiatore), una ‘commedia umana’ dai tratti dannunziani, tra estetismo e passioni. Protagoniste, due cugine, lontane eppure vicine.

D. Quanto c’è di autobiografico in questa storia?

R. “Tutto ciò che uno scrittore produce è, in ultima istanza, autobiografico. Non perché racconti se stesso in modo diretto, ma perché ogni immagine evocata, ogni sentimento articolato, nasce da una ferita o da un’illuminazione personale. In questo romanzo ci sono gesti che mi hanno percorsa, parole che ho pronunciato interiormente, passioni che conosco.

Le ho affidate ai personaggi, perché parlassero per me, senza essere me. Ho sempre pensato alla scrittura come a un modo per distillare dalla confusione dell’esistenza una sorta di ordine, che non è né pace né felicità, ma chiarezza. In ciò che scrivo c’è tutto quello che mi ha fatto brillare l’anima. Ogni autore scrive per dire: ‘Io so che questo esiste, l’ho sentito, l’ho attraversato’.”

D. Nel romanzo, l’amore assume una dimensione quasi mistica. Che significato ha oggi per lei l’amore nella sua forma più estrema?

R. “L’amore, nella sua forma più radicale, è una tensione verso l’eternità. Ci trascende, pur essendo profondamente umano. Nella sua forma più pura, ci spinge fuori da noi stessi senza farci perdere. È al tempo stesso il luogo del massimo rischio e della massima rivelazione.

Come nella scrittura, anche nell’amore si accede a un’altra dimensione dell’essere, in un altrove dove ogni gesto è sacro e crudele e ogni parola sfida la finitudine.”

D. E la scrittura, come è cambiata nel tempo?

R. “Non è cambiata nella sua essenza, ha mutato postura. Prima assomigliava a un grido, ora è una voce che sussurra, con più precisione. È diventata più esigente, più attenta all’invisibile, a ciò che può essere detto solo con il massimo rigore.”

D. La poesia attraversa Magnificat Amour, dai livelli più sottili fino ai versi espliciti, come quelli della poetessa Antonia Pozzi. Che ruolo ha nella sua vita?

R. “La poesia, se intesa come funzione dello spirito, è l’istante in cui la lingua tocca la verità. È la massima concentrazione spirituale nella parola. Accade quando il linguaggio si avvicina al suo punto di rottura e, al tempo stesso, alla sua maggiore intensità.

Non è un ornamento, è una necessità. Nella scrittura, la poesia si manifesta come esigenza di struttura interna. Non ho mai separato poesia e prosa: cerco sempre ritmo, bellezza nella disposizione delle parole, tensione verso l’essenziale. Nella mia vita, la poesia è il modo in cui il silenzio riesce a farsi ascoltare.”

D. Ha anche scritto testi per Gianna Nannini, tra cui quelli dell’album Aria. Che esperienza è stata?

R. “Ho scritto non solo per Aria, ma per altri suoi dischi, in una collaborazione durata dieci anni. Scrivere per la musica è un esercizio d’ascolto: bisogna sottrarsi alla propria voce, entrare in quella di un altro. E soprattutto rinunciare all’ultima parola.

Ma è proprio da quella rinuncia che nasce la libertà. La parola deve piegarsi al ritmo, diventare corpo sonoro. Con Gianna ho condiviso una visione del suono come forza elementare. Le sue canzoni, come le antiche leggende, chiedono parole che non spiegano, ma incarnano. È un’esperienza che mi ha insegnato che le parole possono vibrare in una voce diversa dalla mia, e restare autentiche.”

D. Scrivere è anche un modo per restare fedeli a sé stessi. Cosa resta della ragazza cresciuta a Riccione e cosa ha scelto di lasciare per diventare la scrittrice che è oggi?

R. “Resta lo sguardo interrogativo, il desiderio di capire l’invisibile attraverso il visibile, il senso della bellezza, anche quando si manifesta nel dolore. Resta una disposizione al raccoglimento, l’attenzione, la sete di assoluto. Col tempo, tutto questo ha assunto nuove forme, non si è estinto: si è sublimato.

Ho lasciato la confusione tra vita e destino, tra intensità e verità, l’impazienza e l’aspettativa. Ma non ho mai abbandonato la fedeltà alla mia voce, anche quando è scomoda. In fondo, sono rimasta la stessa scrittrice che vive e scrive come se l’uno fosse inseparabile dall’altro.”

Isabella Santacroce torna a scuotere le coscienze
In queste foto, la scrittrice riccionese Isabella Santacroce. Qui sotto, la sua ultima pubblicazione dal titolo Magnificat Amour.
Isabella Santacroce ripubblica la ‘Trilogia dell’incoscienza’
Pubblicato su Rimini IN Magazine 03/25, chiuso per la stampa il 29/08/2025

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