Marco Filippini, passaggio in Africa

di Arianna Denicolò, foto Stephanie Tremblay
Una vita In viaggio Per il World Food Programme
Ha lasciato l’Italia nel 2003 vivendo in paesi diversi, dagli Usa all’Africa, sempre al fianco di sua moglie Suze, conosciuta a Roma nel 2002 quando lei era vice ambasciatrice di Haiti in Italia, e del figlio Ryan nato nel 2009.

Marco Filippini, originario di Cattolica, lavora per il World Food Programme, dove si occupa di Supply Chain, ossia di acquisti di prodotti alimentari presso i piccoli produttori, supporti logistici e distribuzione di cibo e di beni di prima necessità.

Per conciliare vita famigliare e impegni professionali, ha fatto della flessibilità il suo mantra. Dopo aver trascorso i primi anni di matrimonio e lavoro tra New York e Washington, nel 2010 accade un evento che gli scombussola la vita: il terremoto di Haiti. 

“Ci siamo trasferiti perché a mia moglie fu chiesto di lavorare con la Commissione Clinton per la ricostruzione,” racconta Marco Filippini. “Il World Food Programme cercava una persona che potesse seguire l’approvvigionamento di beni, servizi e cibo e, nel 2011, sono entrato nel settore umanitario e da allora sono trascorsi dodici anni.” 

Un passaggio non facile. “Quando siamo arrivati il paese era in black out, le strade erano impraticabili, Ryan aveva solo un anno: non nascondo di aver provato un attimo di smarrimento,” dice. “Poi la situazione è migliorata, eravamo soddisfatti del nostro lavoro, il paese era bellissimo e questo mi ha pacificato lo spirito.”

Il 2015 è l’anno del secondo grande cambiamento: Suze viene reclutata come Rappresentante residente della Fao e la famiglia si trasferisce in Congo. “Un altro faticoso impatto con una cultura molto lontana da noi. Era il nostro primo paese africano e, pur essendo preparati, avevamo un’idea del panafricanismo che si è scontrata con una realtà ben diversa.”

Dopo cinque anni, con la nomina della moglie a Rappresentante Fao in Zambia, Marco Filippini si prepara a un nuovo trasferimento. “In Zambia ho svolto l’incarico di capo dell’unità Supply Chain del World Food Programme, occupandomi degli acquisti per supportare il programma delle mense scolari. Siamo attivi nei progetti di ‘safety net’ per ammortizzare il peso sociale e aiutare le famiglie, creando un pasto a scuola teniamo i bambini lontani dalla strada.

Il nostro compito è dare supporto a paesi che hanno subito catastrofi naturali. L’Africa è un continente con differenze enormi, un universo con tante sfaccettature. A differenza di ciò che tutti pensano, tanti paesi africani sono fertili e l’agricoltura produce milioni di tonnellate di grano, ma il problema è nella distribuzione delle risorse.

Oggi, per fortuna, ci sono molti investitori che stanno arrivando per costruire infrastrutture e fare business.” Non sente mai la mancanza di casa? “Vado a periodi. Le missioni sono aumentate e, lavorando da remoto per l’ufficio di Roma, nel tempo libero ho ripreso la corrispondenza con gli amici di sempre. Quando viaggi molto può capitare di vivere momenti di solitudine in cui ti mancano la famiglia e gli affetti più stretti.” E per un adolescente come Ryan, cosa significa? “Anche se non è facile, si è sempre adattato ai cambiamenti, l’obiettivo è restare insieme,” spiega. “Frequenta scuole internazionali, parla molte lingue e sicuramente ha un’apertura mentale diversa da quella dei suoi coetanei.” Quale vorrebbe fosse la prossima meta? “Mi piacerebbe vivere in Asia o in America Latina.”

Nel 2020 il World Food Programme ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace per le attività umanitarie messe in campo in periodo Covid. Marco Filippini è detentore, insieme ai ventitremila impiegati dell’organizzazione, di questo ambito riconoscimento.

Marco Filippini, passaggio in Africa
In apertura, Marco Filippini, qui sopra con la moglie Suze e il figlio Ryan.

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