Renato Mancini e l’arte dei rottami

di Aldo Savini, foto Lidia Bagnara
Nel giardino Delle Meraviglie del fabbro Renato Mancini
Percorrendo la San Vitale verso Bologna, oltrepassata Massa Lombarda prima della rotonda sulla Selice in località Fruges, non si può non notare senza rimanerne stupiti un cortile dove sono quasi ammassate delle strane figure. Basta poco per rendersi conto che sono stravaganti e originali sculture.

L’ideatore e realizzatore di questo museo all’aperto è Renato Mancini, ‘Mancio’, ora settantenne in pensione. Una volta i ragazzi finite le scuole ‘andavano a bottega’. Mancio a 14 anni, come quasi tutti, ha iniziato a lavorare a Massa Lombarda alle officine storiche da fabbro di Chilino e Brunon. Qui ha imparato a saldare.

Entrato nel mondo della metalmeccanica, poi messosi in proprio, come prestatore di mano d’opera per grandi aziende come la Malaguti Moto e la Conserva Italia forniva cancelli, inferriate e affini. Quando andava dalle ditte per primo chiedeva di vedere i cassoni per ‘ravanare’ tra i rottami, tra i ricambi che buttavano via, ormai destinati alla fonderia.

Questa passione rimanda a un episodio che ha segnato la parte creativa della sua vita. Nel 1976, durante il servizio militare, sulla scrivania di un sottufficiale fu attratto da una scultura particolare. Un cavallo fatto con gli attrezzi di lavoro e bulloni. Per le gambe due tenaglie, per il corpo e le orecchie il martello cavachiodi.

L’originale oggetto scatenò la sua fantasia e, appena ebbe la possibilità, al mercato di Conselice acquistò una saldatrice a elettrodo, una Torpedo che pesava cinquanta chili. La prima opera realizzata è il Don Chisciotte, cavaliere riconoscibile dal cappello, poi è seguita una produzione inarrestabile. L’ispirazione gli viene vedendo un pezzo. Un serbatoio di un motorino che può sembrare il corpo di un uccello, poi tra i rottami cerca le zampe e le ali.

C’è anche del lavoro, ma non è un lavoro di un vero fabbro, è un lavoro che nasce dalla fantasia. Nelle sue realizzazioni è implicita una motivazione etica. Una presa di coscienza che si traduce in un messaggio di denuncia contro la distruzione dell’ambiente, la violenza sulle donne, la guerra e la cultura del consumo e del buttare.

Questo impegno anima i laboratori con i bambini dell’asilo locale. Con la pistola della colla a caldo la presa scart diventa un elefante, i mouse tartarughe o topolini, la lattina un personaggio, i cd piedistalli. Invita i bambini a cercare nei cassetti i tanti oggetti tecnologici che, diventati obsoleti, si accumulano.

Oltre agli interventi nelle case di riposo per anziani dove crea sculture, partecipa a manifestazioni pubbliche. A Imola ai Fantaveicoli, sfilata di carri allegorici ecologici, non a scoppio, ma a pedale, a spinta o a traino. Mentre per Cervia Città Giardino a Milano Marittima gli è riservato uno spicchio alla Rotonda Cadorna. Lo scorso anno in occasione del passaggio del Tour de France ha realizzato la Tour Eiffel con biciclette gialle. E quest’anno, che gli è stato assegnato come tema l’energia, ha già iniziato a pensare e a lavorare – poi precisa ‘giocare’ – per creare un mulino a vento con biciclette.

Il tema ecologico ha ispirato una serie di piccole sculture di cui una è stata donata al Papa. Altre all’ex sindaca di Roma, all’allora ministro dell’ambiente Costa, e a personaggi internazionali impegnati nella difesa dell’ambiente.

Se qualcuno gli chiede se abbia fatto il liceo artistico, risponde che si è fermato alla terza media e che se tornasse indietro farebbe lo stesso. Eppure le sue opere rimandano per evidenti richiami a movimenti artistici d’avanguardia del Novecento. Prima di tutto al movimento Dadà dei primi anni del secolo tendente a disintegrare le strutture del linguaggio scultoreo in nome della libertà creativa con l’utilizzo di tutti i materiali disponibili e le forme immaginabili.

Poi, passando per il Surrealismo per l’imprevedibilità e l’automatismo nella realizzazione dell’oggetto, non predeterminato da un disegno. Perché sono gli oggetti stessi che attraverso la loro forma gli suggeriscono cosa vogliono diventare. Fino alla Pop Art per il rifiuto di una concezione elitaria dell’arte in quanto le sue sculture saldate acquistano un valore, anche estetico, all’interno di un sistema di comunicazione il cui significato deve essere leggibile da chiunque per la semplicità di interpretazione.

Ribadisce di non sentirsi scultore. E se avesse una vecchia fabbrica farebbe un museo stanziale. Per ora gli restano il sogno e il giardino delle meraviglie attorno a casa, sempre aperto per chi desideri visitarlo.

Renato Mancini e l'arte dei rottami
In apertura e qui sotto, Renato Mancini, fabbro creativo. Nelle foto, alcune delle sue opere, esposte nel suo giardino-museo.
Renato Mancini e l'arte dei rottami
Renato Mancini e l'arte dei rottami
Pubblicato su Ravenna IN Magazine 05/24, chiuso per la stampa il 10/12/2024

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