Grano Nostro

di Cristina Mazzi, foto Silvia Bertozzi
Due realtà che riscoprono i grani antichi
Puntare sui grani antichi e sulle piccole filiere locali, lontani mille miglia delle logiche industriali. Continuare con amore e innovazione i mestieri di una volta, ereditati da nonni, padri, madri, zii. È ciò che lega le storie di due realtà uniche del nostro territorio che oggi, in tempi di guerra del grano, sembrano aver davvero visto lungo, preservando e rilanciando un patrimonio agricolo che rischiava di andare perduto per sempre.

“Pronto, mi sente? Scusi ma sono in campagna, sa in mezzo al grano il telefono non prende”.

Fabio Cappelletti, titolare del forno Nel nome del pane di Dovadola, di mattina è spesso irraggiungibile. Il suo ‘ufficio’ è in mezzo ai campi nel paese dove è nato, Dovadola appunto, in provincia di Forlì. “Studio vari tipi di grano biologico e li sperimento nel nostro forno,” spiega Cappelletti. “Col tempo ho capito che questa è la mia più grande passione”.

Circondato da impasti, grano e farina sin da bambino, quella del panificio a conduzione familiare è una storia lunga generazioni. I coraggiosi, “perché a quei tempi si sono buttati nel vuoto,” come racconta Fabio, sono i genitori Maurizio e Anna. Oggi 68 e 63 anni ma ai tempi poco più che ventenni, che nel 1979 decisero di rilevare l’antico forno di Dovadola, trasferendosi lì da Premilcuore e Predappio. “Da ragazzino vedevo solo i sacrifici della vita che facevano i miei, come il lavorare di notte. Insomma mi dicevo: questa vita non fa per me.” 

E così il trasferimento a Bologna con un lavoro nel campo farmaceutico. “Ma quel lavoro non mi rispecchiava. Aiutavo le aziende a migliorarsi, perché non farlo con la mia? Beh, ho deciso di ricominciare da zero. Il primo incarico? Mio babbo faceva il pane e io lo andavo a consegnare dalle 3 alle 8 di mattina.” La restante parte della giornata Fabio Cappelletti la passava a studiare.

“Pian piano mi sono sempre più appassionato all’alimentazione sana, alle materie prime locali che ci dà la terra, allontanandomi dal mondo industriale della corsa al profitto. Tutto è nato da un articolo che spiegava l’importanza dei grani antichi. Per la nostra salute e per la salvaguardia delle persone e dell’ambiente. Ho avuto la fortuna di avere anche una famiglia unita che mi trasmette tutti i giorni passione per questo mestiere. Fondamentale, insieme all’aiuto di mio fratello Enrico al forno.” 

Nel pane, torte, biscotti e in tutti prodotti del panificio gli ingredienti industriali sono banditi. “Usiamo olio di un’azienda agricola biologica pugliese. Anche il burro che compriamo è bio. Ci affidiamo solo a fornitori che ci garantiscono l’origine locale delle loro materie prime. Va da sé che i cereali arrivano dalla nostra azienda agricola e da 20 ettari di grani antichi nel nostro territorio, per aiutare l’economia locale. Magari arriveremo anche a produrre il 100% dei grani che utilizziamo.” 

Nel 2009 è arrivata la soddisfazione di essere fra i Tre Pani di Gambero Rosso, quindi fra i migliori panifici biologici d’Italia. Dimostrando così che ottimi risultati si possono ottenere anche con materie prime ‘deboli’ come i grani antichi, naturali, con meno glutine e più digeribili. 

“Oggi nel nostro forno a legna, senza tecnologie moderne come frigo e freezer ma piuttosto seguendo il ritmo naturale di una volta, produciamo 4 quintali di pane tutti i giorni, circa 900 quintali all’anno. E mio babbo fa il pane 100% impastato a mano.”

Fra chi ha capito le grandi potenzialità dei grani antichi e la necessità di ricreare una filiera locale andata persa con l’avvento della globalizzazione c’è il Molino Pransani di Bivio Montegelli, frazione di Sogliano al Rubicone. Il molino è stato riattivato negli anni ‘90 da Stefano Pransani dopo che ci avevano lavorato intere generazioni della sua famiglia.

“Il mulino esiste dal 1600,” racconta Pransani. “Mio nonno l’ha preso in mano 101 anni fa, poi era passato a mio zio e a mio padre. Ma tenere in piedi una piccola attività come quella, negli anni ’70, era diventato difficile. Così il molino era stato chiuso. Io avevo scelto la carriera sportiva, facevo il ciclista professionista.

Poi 21 anni fa, complice anche un infortunio, sono sceso dalla bicicletta e mi sono dedicato all’azienda agricola di famiglia e al mulino, riattivandolo e coltivando grani antichi. Dapprima per produrre qualcosa di più naturale per la mia famiglia e per i miei amici. Poi, piano piano, abbiamo coinvolto gli agricoltori della zona e abbiamo ripreso la semina dei grani antichi che venivano coltivati nelle colline della Valle del Rubicone fino agli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento.

Abbiamo avuto una grande risposta e alla fine l’attività ha preso piede molto bene, anche perché oggi c’è più consapevolezza sui benefici di una alimentazione naturale e sana. Utilizziamo i nostri cereali insieme ad altri provenienti da Sogliano, Roncofreddo, Mercato Saraceno e lavoriamo nell’ottica di creare sostenibilità in tutti i passaggi della filiera, distaccandoci dai prezzi di mercato e soprattutto garantendo contratti equi ai coltivatori.

La guerra in Ucraina? Incide su alcuni costi, ma non certo su quello del grano. Perché siamo autosufficienti utilizzando solo materie prime locali.” Nel 2021 la produzione al mulino, attività principale rispetto all’azienda agricola, è stata di 12.000 quintali, una produzione mantenuta costante anche per mantenere alta la qualità. 

Grano nostro – Forlì-Cesena IN Magazine 02/22
In apertura, Fabio Cappelletti, titolare del forno Nel nome del pane. In alto, Maurizio Cappelletti, il padre, nel forno di Dovadola. Sotto Stefano Pransani, titolare del Molino Pransani.
Grano nostro – Forlì-Cesena IN Magazine 02/22
Grano nostro – Forlì-Cesena IN Magazine 02/22
“Nel tempo abbiamo sviluppato molte collaborazioni con i forni locali e anche con l’Università per la valorizzazione di queste materie prime. Con Nel nome del pane, ad esempio, collaboriamo ad un progetto dell’Università di Bologna sui grani antichi. Da tre anni studiamo l’evoluzione di 5 grani italiani mantenendo le varietà in purezza in base al loro contesto naturale e alla loro genetica, un unicum in Emilia-Romagna.”

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