Nulla meglio del nome dell’imperatrice di Bisanzio poteva dunque applicarsi a uno dei simboli dell’eccellenza sportiva della città, la Olimpia Teodora. Un simbolo che fra gli anni Ottanta e Novanta ha fatto di Ravenna la capitale della pallavolo femminile in Italia, in Europa e nel mondo.
Era il febbraio del 1965, giusto sessant’anni fa, quando Alfa Casali Garavini, professoressa all’Istituto Ghiselli, costituì insieme a suor Giuliana Morigi la società Olimpia. Il fine era quello di venire incontro al desiderio di pratica sportiva delle allieve della scuola retta dalle religiose, in particolare nella pallavolo.
La giovane professoressa non seminava nel deserto, dato che Ravenna era una delle culle del volley italiano. La Robur di Angelo Costa, infatti, aveva vinto i primi campionati nazionali maschili nell’immediato dopoguerra. E proprio in quel 1965 anche una squadra femminile, la Virtus, era approdata alla massima serie.
Gli esordi dell’Olimpia, che assunse i colori biancazzurri, furono invece più modesti. Ospitata nella palestra dell’Istituto Ginanni, e con limitate risorse finanziarie, la nuova società si barcamenò nel primo decennio di vita fra la Promozione e la serie C. Come spesso succede, però, fu proprio una sconfitta (la retrocessione dalla C nel 1969) a dare l’impulso per una decisione che si sarebbe rivelata decisiva. Quella di puntare sulla costituzione di un settore giovanile moderno e strutturato.
Negli anni seguenti, l’indefesso lavoro di scouting attuato dalla Garavini e dal tecnico Diego Melandri nelle scuole della provincia costruì delle solide basi. Che diedero infine i risultati sperati. Nel 1973-74 l’agognato ritorno in serie C fu solo il primo gradino di una repentina ascesa coronata due anni dopo dalla promozione in serie A.
La svolta era dunque avvenuta, e non era solo di carattere puramente agonistico. Il 1974 fu infatti anche l’anno della prima sponsorizzazione, da parte della nota azienda di corredi Paoletti. A questa subentrò due anni dopo la CMC con il marchio Monoceram.
Nel 1978 fu poi la volta di altri due ingressi che andarono a comporre le basi di quello che sarebbe divenuto il mosaico della grande compagine del decennio successivo. Quelli di Sergio Guerra come allenatore e di Giuseppe Brusi come direttore sportivo. Intanto la squadra si stabilizzava senza grossi patemi nella massima serie, fino a conseguire il primo successo con la vittoria nella Coppa Italia del 1980. Al termine della stagione seguente, sotto la sponsorizzazione di Diana Docks (un’azienda attiva nell’ambito portuale), l’Olimpia conquistò infine il suo primo scudetto.
Era l’inizio di un ciclo che avrebbe fatto della squadra ravennate uno dei fenomeni più dirompenti dello sport italiano degli anni Ottanta. Undici campionati ininterrottamente vittoriosi dal 1980-81 al 1990-91 (memorabile la rivalità con le ‘eterne seconde’ della Nelsen Reggio Emilia). Sei Coppe Italia, una serie di 72 vittorie consecutive fra il 1985 e il 1987. Una schiera di campionesse provenienti dal settore giovanile e proiettate alla ribalta della pallavolo internazionale (un nome per tutte: Manuela ‘Manù’ Benelli). Questi sono solo alcuni dei primati che sintetizzano il senso di quella epopea sportiva.
Un’epopea che nel 1982 trovò anche una sanzione simbolica quando, dopo il fallimento di Diana Docks, la sponsorizzazione venne assunta dal gruppo Ferruzzi attraverso il marchio Teodora. Una società produttrice di olio di semi, con la contestuale sostituzione dei colori sociali giallorossi al biancazzurro originario. Quella che al momento poteva apparire (e in effetti era) un’operazione improntata a una logica di puro marketing commerciale, si sarebbe invece rivelata una vera e propria rifondazione identitaria della società, ora incarnata dalla figura dell’imperatrice che indossava i colori del gonfalone cittadino. Coerentemente, dopo qualche anno, essa avrebbe modificato anche la propria denominazione ufficiale assumendo quella di Olimpia Teodora Ravenna.
In tutto questo, un dato da rimarcare è che l’ascesa della Teodora non fu semplicemente un fenomeno, per quanto dirompente, limitato entro i confini del volley femminile italiano, ma fu anche in grado di trascinare quest’ultimo verso un salto di qualità a livello internazionale. Specchio di questo sviluppo fu la performance della squadra nella massima competizione continentale.
Dalla sua istituzione, nel 1961, la Coppa dei Campioni era stata terra di conquista indiscussa delle compagini dell’Est allora comunista, per il quale la supremazia in Europa era un vero e proprio affare di Stato, e l’unica sporadica presenza italiana era stato il quarto posto della Savoia Bergamo nel 1978. La Teodora cominciò a imporre la propria presenza nel 1984, quando conquistò il secondo posto, che replicò nei tre anni seguenti.
Finché, nel 1988, al termine dell’esaltante epilogo di Salonicco, ecco finalmente il primo trionfo (il primo anche di una squadra dell’Europa occidentale) davanti alle sovietiche dell’Uralochka Sverdlovsk. Un successo bissato quattro anni dopo fra le mura amiche del Pala De André, l’arena donata alla città dal gruppo Ferruzzi nel 1990 e divenuta il campo del volley ravennate dopo le migrazioni forzate nei palazzetti della Romagna degli anni precedenti. E non era tutto, perché qualche mese dopo la squadra ravennate coronò la sua parabola conquistando anche il Mondiale femminile per club svoltosi a Jesi.
In effetti, quel 1992 segnò il picco della parabola iniziata oltre un decennio prima, ma anche l’inizio della sua discesa. Già la mancata vittoria in campionato, per la prima volta dopo undici stagioni, aveva rivelato che quel ciclo glorioso stava arrivando alla conclusione. L’anno seguente, il crollo del gruppo Ferruzzi coinvolse nei suoi effetti anche le ambizioni del volley femminile.
Seguirono anni di progressivo declino, di crisi e rinascite fra le diverse categorie nazionali. L’Olimpia Teodora del 2025 ha appena terminato il campionato di B1, perpetuando con dignità la tradizione delle ragazze leggendarie che dalle aule del Ghiselli giunsero a conquistare la vetta del mondo.