Valerio Spadoni, il grande calcio

di Massimo Montanari, foto Massimo Fiorentini
Uno dei simboli della Roma in serie A
In principio c’era Domenico Spadoni, il papà. Classe 1912, centrocampista, allora si definiva interno, arrivò a giocare una stagione in serie A con il Modena. Da allenatore ha legato il suo nome alla storica promozione del Cervia in D nel 1956/57. Poi arrivò Sanzio, classe 1937: militò nei campionati dilettantistici, senza allontanarsi dalla sua Romagna. Ha salutato tutti, per sempre, poco più di un anno fa.

E poi Valerio Spadoni, classe 1950. Ha compiuto i 75 anni il 15 aprile. Con l’Atalanta ha assaggiato la A, che poi si è gustato e preso con la Roma, di cui è stato uno dei simboli.

Siamo nella prima metà degli anni Settanta. Era la Roma di Santarini, Prati, De Sisti, Ranieri, tanto per citarne alcuni. Ma anche del ‘barone’ Liedholm. Ecco, in sintesi, la famiglia Spadoni, orgoglio ed emblema della Lugo calcistica. A completarla la sorella Lidia, classe 1939, impegnata nella cultura, nell’animazione parrocchiale e nel volontariato. 

“Non ho potuto vedere logicamente partite di mio padre,” spiega Valerio, “però è chiaro che mi ha trasmesso importanti geni calcistici. Ma è stato anche un genitore inflessibile: ha fatto la guerra, è stato due anni in Africa in fanteria. Chi non ha vissuto il periodo bellico non può capire i sacrifici che si dovevano fare, la durezza della vita, l’esperienza che ti porti dentro.”

Quando tornò a casa, Domenico sposò Giulia: anche lei contribuisce alla famiglia d’arte, perché è stata una nota attrice di teatro dialettale romagnolo che insieme a Luigi ‘Pablo’ Geminiani, con cui condivideva il palco, ha contribuito a diffondere e promuovere il dialetto. “Avevo 6-7 anni e stavo dietro le quinte o tra il pubblico. Mi divertivo,” rivela Valerio, “e mi piaceva la gioia che il pubblico esprimeva in quelle rappresentazioni.” 

Ma tra il teatro e il campo da calcio, ha prevalso quest’ultimo. “Il calcio è stato la mia vita, ma solo finché ci ho giocato;” spiega Valerio, che in carriera ha indossato anche le maglie del Baracca Lugo, la squadra della sua città, e del Rimini, “perché, dopo qualche annata da allenatore tra cui le due a Lugo in Promozione, ho assecondato una mia grande passione, quella dei fumetti, aprendo un negozio dedicato in città.

Sono quello che a Lugo ha lanciato i fumetti giapponesi, a partire da Dragonball: è stato il primo ed è stata una rivelazione. Ma io ho sempre preferito i fumetti d’autore: Capitan Miki, Il grande Blek, Tex. Poi Ken Parker e oggi Julia, che leggo tuttora.

Ora, da pensionato, mi godo il pezzo di terra che ho accanto a casa, faccio un po’ di giardinaggio e mi dedico ai miei animali. E, lo dico anticipando una domanda, guardo pochissime partite. Il calcio di oggi lo rispetto ma non riesco proprio a farmelo piacere.

Poca fantasia, partite spesso noiose, rose sterminate e stipendi esagerati. Ai miei tempi, le squadre erano di 14 giocatori, poi c’erano i ragazzi del vivaio che, se c’era bisogno, entravano e, se meritavano, giocavano.” 

Una carriera non lunghissima quello di Valerio Spadoni: trequartista-attaccante, dal piede sinistro molto educato, ha trovato negli infortuni le sue sliding door. L’ultimo, il più grave di tutti, patito in una gara contro l’Inter, nel gennaio 1976, lo ha costretto alla resa definitiva: era vicino ai 26 anni.

“Per quell’ultimo infortunio ho vissuto momenti personali molto difficili, con la paura di conseguenze fisiche permanenti,” ammette, ma ogni volta che qualcuno mi chiede di raccontare il mio percorso preferisco parlare di calcio giocato: delle tante belle persone che ho incontrato e con cui ho lavorato e di alcuni gol che porto nel cuore.”

Due sopra tutti. “La prima rete della mia carriera col Baracca a Riccione, dopo la quale non pensai certo che sarei diventato un campione ma mi rese felice perché la ritenevo una sorta di partecipazione, di contributo alle sfide della squadra. E poi logicamente il primo gol in serie A (con la Roma saranno 12 in 80 partite, Ndr.), a Verona, alla prima di campionato: finì 2-2 e segnai il momentaneo 1-1. Ma serbo buoni ricordi anche delle due annate a Rimini, dove sono stato benissimo, ho avuto compagni meravigliosi”. 

Per le persone, l’elenco è lungo. Dal mazzo Spadoni estrae tre carte, tre allenatori. “Gino Pivatelli l’ho avuto a Rimini. Mi ha formato,” ricorda, “e mi ha dato la spinta più importante per approdare poi a Roma. Non ci sentiamo più ma lo ricordo con grandissimo affetto. Helenio Herrera mi ha accolto a Roma: ha creduto subito in me, facendomi esordire e poi c’è Nils Liedholm, il maestro dei maestri, uomo di calcio e di vita, uno per cui valeva la pena di combattere.

Grande calciatore, di eleganza raffinata e capacità tecnica fuori dal comune, che metteva la palla dove voleva e tecnico dotato di una visione e di una umanità incredibili. Seppi guadagnare subito la sua fiducia e attenzione.”

Altre due persone che hanno segnato, in positivo, la vita di Valerio Spadoni, sono relativi al periodo più recente. Una decina d’anni fa Valerio scopre di dover lottare con l’avversario più temibile di tutti: un tumore.

“Non finirò mai di ringraziare il dottor Zattini, primario di stanza a Lugo, che mi ha operato dimostrando competenza e una rara umanità, e il dottor Ricci per la tempestività nella diagnosi. Se oggi sono qui lo devo anche a loro.”

Valerio Spadoni, il grande calcio
Gli scatti raccontano la carriera calcistica di Valerio Spadoni.
Valerio Spadoni, il grande calcio
Pubblicato su Ravenna IN Magazine 03/25, chiuso per la stampa il 16/07/2025

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